mercoledì 14 maggio 2008

Il Principe


Nel Rinascimento per un momento in Italia ha comandato Lorenzo il Magnifico, il quale, convinto di essere un genio, era in realtà – purtroppo - un deficiente. Machiavelli, dimenticando che era stato escluso dal Magnifico da ogni pubblico incarico, tutto preso dalla preoccupazione per le sorti dell’Italia, indirizzò il Principe al Magnifico, libretto il cui senso è: “Magnifico, stai sbagliando tutto”. Il Principe sembra un libro per bambini, in cui l’arte della politica viene spiegata passo passo in modo chiaro e semplice, indicando ad ogni capitolo che “se uno fa x, allora succede y, e le conseguenze sono z”. Probabilmente il Magnifico non capì di cosa parlasse questo piccolo libro, e continuò a fare l’ago della bilancia. Il risultato fu che l’Italia cadde nelle mani delle potenze straniere, esattamente quello che temeva Machiavelli. Sarebbe bello se fosse altrimenti, ma così come se non hai capacità di astrazione difficilmente ti si può far entrare in testa la matematica; allo stesso modo se non sei portato per la politica, difficilmente ti si potranno far entrare in testa le complesse catene di ragionamenti dell’arte politica – soprattutto quando uno è convinto che la politica nasca dal fatto di essere amico di questo e di quello, come era convinto il Magnifico e non, ahimé, dal gioco di azione e reazione tra le forze in campo. Ci è rimasto un libro che fonda la politica come scienza. Politica si è sempre fatta, ma Machiavelli è il primo che la spiega:
Dal punto di vista psicologico la storia di Machiavelli e di Lorenzo è un caso di specie di un curioso fenomeno, per cui le persone molto intelligenti si prendono a cuore le sorti degli stupidi, e trascurano invece le sorti degli intelligenti. Gli stupidi attraggono l’intelligente perché quest’ultimo dice fra sé “l’intelligenza è soltanto il possesso di determinati strumenti intellettuali, e tutti possono impossessarsene”; gli intelligenti non attraggono l’intelligente perché questi dice: “costui già dispone degli strumenti intellettuali che io posseggo, può fare da sé, non ha bisogno di me”. Insomma, gli intelligenti spesso peccano di eccessiva fiducia nelle capacità degli uomini

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