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sabato 1 dicembre 2018

Walter Benjamin

Benjamin è stato come tutti sanno il prima a interessarsi dei media ,forse in risposta all'uso già raffinatissimo che ne facevano i fascimi (e Hollywood). Sono tutti suoi debitori: Eco, Debord ecc. Però non credo che fosse poi questo gran pensatore. Ha avuto l'umiltà di considerare fenomeni che non erano considerati cultura alta, il che va detto non è poco.

PEnsavo questo passando in via de Lollis, dietro la sapienza, dove una critta recita "Walter BEnjamin vive". La scirtta però si spiega perché tale pensatore autorizza fli studenti universitari a a sentirsi corlti senza dover leggere Platone e Spinoza semplicemente perché guardano i film.

domenica 17 giugno 2018

Pensiero debole

A proposito del post precedente, va pur detto che Marx è stato buttato alle ortiche (e con lui ogni forma di pensiero"forte") per delle buonissime ragioni - le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni - ovvero dal fallimento del socialismo reale e del tentativo di rivoluzione del '68. Il fallimento dell'unione sovietica, che è ben precedente al 1989, non fu tanto un fallimento economico, quanto sociopolitico. Gli inventori del postmoderno - cioè dell'abbandono delle "grandi narrazioni" - pur non facendo parte del movimento operaio, partivano tuttavia da sincere preoccupaazioni antiautoritarie (Lyotard, Eco, Vattimo, Bonito Oliva). Quanto al '68 - che viene raccontato come una rivolta generazionale ma che fu un tentativo pià o meno serio di fare una rivoluzione non autoritaria - specialmente in Cile e in Italia - non riuscì nel suo intento e questo portò alcuni a dire che l'autoritarismo stava nel pensiero "forte" stesso. Con la conseguenza che oggi siamo sommersi dal non-pensiero, a destra come a sinistra.

sabato 30 settembre 2017

Pensiero debole, pensiero forte, cultura classica

Non la crisi, non la globalizzazione, ma il pesniero debole è la causa della profonda crisi in cui versa l'occiudente. Eppure il pensiero debole non nasce solo dalla sconfitta del movimento operaio e del marxismo, ma da ragioni più profonde e difficilmente eludibili. La cultura classica, quella che permetteva non solo di sapere ma anche di capire, era fondata essenzialmente sulla letteratura latina e greca, e parzialmente sul grande romanzo romantico franco-russo che aveva rappresentato un canone moderno equivalente a Omero e Virgilio. Con la decolonnizazione, e con l'ascesa di paesi come la Cina, questo fondamento è inevitabilmente crollato. Non puoi proporre a un cinese di studiare il latino e Omero, tanto più che Cina, India Islam hanno una loro cultura classica e una loro lingua classica (cinese antico, arabo classico, sanscrito) che sono assai diverse da quelle occidentali ma hanno la stessa altissima dignità. La critica postmoderna è nata nei fatti incentrata sul cosiddetto relativismo e sulla critica del potere, ma isarebbe durata ben poco se non si fosse legata alla fine (per fortuna) dell'eurocentrismo.

Attualmente in mancanza di basi solide del sapere, si oscilla tra una frammentazione e un eclettismo più o meno new-age e un dominio della tecnica (non della scienza) assurta a paradigma, o una serie di slogan politic di solito di destra (ma raramente anche di sinistra) dal mercato come soluzione a tutti i problemi al nativismo. Tutto ovviamente assolutamente inadeguato, e tra l'altro anche profondamente inconsapevole del problema reale, Eco, uno degli inventori del postmoderno, era da parte sua perfettamente consapevole del problema, quando diceva che occorresse un'enciclopedia condivisa. Personalmente eco aveva sviluppato un'enciclopedia onnicomprensiva (e qualcosa del genere ha fatto Philippe Daverio) ma ovviamente l'enciclopedismo universale non è proponibile a livello di massa.

Il luogo dove il fenomeno è forse più evidente è nel liceo italiano, dove è stato mantenuto tutto l'impianto della scuola gentiliana tranne il suo filo unificatore, cioè lo storicismo, con il risultato che spesso i diplomati e i laureati sono più ignoranti (nel senso di essere incapaci di avere una visione complessiva) degli illetterati. 

lunedì 31 luglio 2017

Social, fake, vaccini

Invece di piagnucolare sui fke di facebook. che fa in modo rozzo quello che i giornali fanno in modo raffinato (e spesso nemmeno quello, vedi i giornali legati a Mediaset) sarebbe finalmente ora di insegnare a scuola, fin dalla scuola dell'obbligo, come si disinforma la gente. Esistono infatti vari gradi e modi di fare disinformazija: fal fake vero e proprio, alla semplificazione che fa credere una cosa quando la realtà è non solo più complessa ma spesso completamente altra, al non fornire tutte le informazioni necessarie per f arsi un'opinione equilibrata fino all'impaginazion,e che enfatizza quello che vuole il giornale o il social e poi relega le informazioni veramente rilevanti in secondo piano. Tra l'altro non c'è solo la disinformazione in malafede, c'è anche quella in buona od ottima fede, che è molto più pericolosa. Se infatyti dai fake. dalel semplificazioni e dagli altri metodi di deformare la realtà è possibile, con opportuni strumenti critici, estrarre comunque informazioni anche dalle fonti meno attendibili (e i politici e i servizi segreti fanno sistematicamente uso di questi metodi), da quelli in buona fede è assai più difficile farsi un'idea della realtà effettiva. E' il caso del dibattito sui vaccini, in cui i vaccinisti (indipendentemente dal discorso in sé) fanno pessima informazione. Gli argomenti sono essenzialmente due: che i vaccini sono scientifici e altre cure no, che il vaiolo e la poliomellite sono stati sconfitti da vaccini. In ambedue i casi non si spiega come funziona realmente la medicina, e quindi (involontariamente!) si adotta il trucco di non fornire tutte le informazioni. La medicina non è la fisica, in cui si passa dalla teoria all'applicazione ingegneristica, nella maggior parte dei casi le terapie, specialmente le più efficai, vengono scoperte in modo del tutto empirico e solo successivamente vengono giustificate scientificamente, Lo stesso vaccino contro il vaiolo è stato scoperto semplicemente perché Jenner aveva osservato che il vaiolo delle vacchie (vaccino) era innocuo. Non si conoscevano nemmeno i germi, figuriamoci il sistema immunitario. Personalmente sospetto che molte terapie che oggi sembrano stregonesche (l'agopuntura per dire) ma che sembrano efficaci in futuro troveranno una spiegazione "scientifica". Ci sono ovviamente anche terapie "scientifiche", come la maggior parte dei vaccini moderni, ma non bisogna dimenticare che le verità scientifiche sono sempre provvisorie, altrimenti sarebbero verità religiose, non scientifiche, e talvolta le sorprese possono essere molto amare, come nel caso del talidomite, che provoca spaventose malformazioni nei feti che nessuno si aspettava in quanto sono dovute a un enantiomero (una variante chimica) che non era stata presa in considerazione.
Quanto a usare il vaiolo come argomento per il vaccino sul morbillo si fa un altro attentato al metodo scientifico: molti antivaccinisti dicono che parecchi vaccini sono pericolosi, altri dicono che sono semplicemente inutili.

In conclusione, come accennavo, non solo è possibile difendersi dalla disinformazione, difesa che si fa non ricorrendo a fonti attendibili, in quanto anche i sommi luminari possono sbagliare (e spessissimo lo fanno), ma incrociando le fonti e conoscendo i trucchi; è anche possibile estrarre informazioni da fonti volutamente lacunose o addirittura fraudolente. Ricordo un vecchio articolo di Umberto Eco in cui ricordava l'informazione in tempo di guerra. tutti avevano imparato a non fidarsi ma soprattutto a leggere tra le righe cosa era realmente avvenuto.

martedì 25 novembre 2014

Anni '70 II

Sentivo in televisione, in un programma sul '77, la vulgata secondo cui il movimento creativo e non violento era tenuto in ostaggio dalle frange violente, interpretazione che ricorre eternamente senza mai essere superata. La vulgata nasconde una profonda incomprensione da parte del PCI di quello che è stato il movimento degli anni '70, incomprensione che sembra durare anche oggi a distanza di tanti anni,  e che si regge su due equivoci:

1) come ha ben sottolineato Umberto Eco in "sette anni di desiderio", il movimento degli anni '70, almeno in grandissima parte, non era rivoluzionario, era antifascista. C'era la paura di finire come il Portogallo, la Spagna e la Grecia, e questo timore non era certo infondato (vedi il golpe Borghese). Cossiga pare abbia detto, anni dopo, che erano stati durissimi nelal repressione, ma almeno avevano evitato che prevalessero "quegli altri" - in altre parole non abbiamo avuto i colonnelli in Italia perché una parte della DC - e forse nemmeno quella più democratica -  non ha voluto. Nel movimento c'era chi pensava che il pericolo fosse così grave da doversi armare, altri avevano altre opinioni ma sentivano il pericolo ugualmente.Semplifico enormemente, ovviamente, c'era anche il tema della repressione che era diventata brutale, ma visto così diventa tutto molto più chiaro. Le stesse Brigate Rosse pensavano sostanzialmente di essere partigiani che volevano impedire la svolta autoritaria - se avessero veramente avuto l'intenzione di fare la rivoluzionari la rivoluzione l'avrebbero vinta, come scrissi in un altro post che mi sembra abbiano cancellato (non solo in Cina, anche in Italia certe parole chiave in Italia sono vietate).

2) il movimento degli anni '70 era fondato sull'autorganizzazione, sul non riconoscere legittimità al partito, in definitiva sul superamento della distinzione tra anarchia e comunismo, e (in soldoni) sul ritorno alla Comune di Parigi dopo l'esperienza bolscevica . Tutte cose assolutamente incomprensibili per un PCI che è ancora stalinista oggi (nonostante le apparenze e pur non essendo più socialista) figuriamoci allora. In altre parole, quello che sconvolgeva i quadri del PCI non era certo la violenza, era il fatto che dei proletari non obbedissero alle direttive del partito che doveva rappresentarli.  Il '68 era stato borghese, quindi bastava tacciarlo di spirito piccolo borghese (come fece Pasolini), il '77 era inequivocabilmente proletario, quindi inclassificavile. In un certo senso si è trattato dello stesso scontro tra anarchici e stalinisti che si ebbe durante la guerra.civile spagnola, divisione che fece vincere Franco. Nel nostro caso i fascisti non hanno vinto, però il paese si è bloccato, come dicevo in un altro post, ed è rimasto in uno stato di sospensione fino all'incirca alla crisi del 2008, quando il trauma è stato parzialmente superato - il trauma, non la rimozione che sempre accompagna i traumi.



si è sostanzalmente bloccato finoalla crisi del 2008, come dicevo in un altro post,

mercoledì 16 luglio 2008


Stat rosa pristina nomine nomina nuda tenemus. La rosa, tra tante altre cose, è simbolo della sapienza (Maria, sedes sapientiae); i rosacroce, per esempio, sono quelli che vedono la rosa (la sapienza) nella croce (lo stemma della NATO è simbolo rosacrociano). Quindi stat rosa pristina nomine nomina nuda tenemus significa che la sapienza originaria sta nel nome, stringiamo solo nomi. La frase è una citazione di Bernardo di Chiaravalle, stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus, cioè di Roma rimane solo il nome. Bernardo in genere è simbolo di continenza, ma in questo caso c’è un riferimento al doctor mellifluus, il maestro di eloquenza.

Più in generale, questo nominalismo amato da Eco e più in generale da letterati e filosofi, discende da un’idea assai greca, per cui la beatitudine consiste nella contemplazione della verità; una volta afferrata la verità, l’unica cosa da fare è combinare e ricombinare le parole che ne celebrano la lode. Il presupposto ovviamente è che la verità e dio siano fissati una volta per tutti ed eterni, quando in realtà si modificano continuamente nel processo continuo e progressivo della creazione. I mercanti che hanno costruito il mondo moderno a partire dal 1300 hanno imposto un modello diverso, in cui la beatitudine consiste nel creare il mondo. Credo che di fondo sia un’idea ebraica.

Ma già muoveva il mio disio e il velle
Sì come rota ch’igualmente è mossa
L’amor che muove il cielo e l’altre stelle

L’accento è sul movimento, il desiderio e la volontà.

venerdì 16 maggio 2008

Nemico


Su Repubblica di oggi Umberto Eco descrive il noto fenomeno per cui la costruzione dell’identità passa spesso se non sempre attraverso l’invenzione di un nemico, a cui si attribuiscono orribili vizi. Eco ha sicuramente ragione nell’indicare come in un mondo in trasformazione il Nemico sia indispensabile, gli sfugge però un fenomeno, per cui al nemico vengono attribuiti i vizi propri (il bue che dice cornuto all’asino). Basti pensare all’Italia, il Paese con il popolo più ladro del mondo (elevatissime percentuali di evasione fiscale, classe politica ed economica estremamente corrotta, tra le più alte percentuali di truffe del mondo, mafia camorra e ndrangheta, come ti muovi qualcuno cerca di fregarti ecc.) che non ha caso ha scelto il Nemico negli zingari …. perché rubano. In altre parole, non è propriamente il nemico che costruisce l’identità di un popolo, ma il capro espiatorio. E non è inesorabile, perché secondo una nota interpretazione di Remarue, il cristianesimo può cancellare il meccanismo del capro espiatorio.