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martedì 20 ottobre 2009

Burocrazia


La burocrazia italiana è particolarmente irritante in quanto si basa su due principi: 1) la presunzione di colpevolezza del fruitore 2) lo scarico di responsabilità dell’impiegato (e soprattutto del suo dirigente). L’enorme mole di carta, la surreale complessità delle procedure, derivano da questi due semplici principi – in particolare si richiama costantemente la norma, non per profondo senso delle regole, ma per evitare di prendere decisioni di cui ci si assume pienamente la responsabilità.
La legge Bassanini sull’autocertificazione dimostra come sarebbe semplice sfuggire alla complicazione burocratica – riconoscendo i principi perversi che ne sono alla base e rovesciandoli. Questa santa legge si basa infatti sulla fiducia nel fruitore e nell’assunzione di responsabilità da parte dell’apparato. I burocrati del resto opposero all’inizio notevoli resistenze all’applicazione della legge – cercavano in ogni modo di autenticare le firme ecc. nonostante ciò fosse ormai contra legem – sembrava loro assurdo che fosse non al cittadino necessario dimostrare la sua innocenza, ma a loro la sua eventuale colpevolezza.

Bartleby lo scrivano

La bella novella di Melville, "Bartleby lo Scrivano", ci illustra la nascita della burocrazia e della piccola borghesia. Bartleby è impiegato presso un avvocato: deve ricopiare in “bella scrittura” i testi preparati dal suo capo; è, in sostanza, una macchina per scrivere. A questa totale alienazione si ribellerà con il famoso “I would prefer not to”. Questo sono infatti i burocrati: persone che ricopiano e trasmettono documenti elaborati da chi prende le effettive decisioni (delle macchine per scrivere) oppure fanno conti (delle calcolatrici). Ai tempi di Melville l’apparato burocratico era ancora semplice e trasparente: Bartleby sapeva cosa stava facendo. Col tempo, l’operazione di trascrivere e trasmettere documenti verrà spezzata su infiniti uffici e innumerevoli impiegati, trasformandosi in una rete senza confini di cui nessuno può conoscere lo schema complessivo, raggiungendo rapidamente l’assurdo così bene descritto da Kafka – anche se i complessi edipici giocano un ruolo nelle novelle di Kafka, il tema dei suoi romanzi è sostanzialmente lo stesso di Bartleby.