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lunedì 31 agosto 2020

Middle class

Le classi sociali non sono due, borghesia e proletariato, ma tre, borghesia, proletariato e classe media. Marx parla raramente della classe media ma la cita esplicitamente nel IV libro del Capitale in cui riprende l'antica distinzione dell'economia classica tra classi produttive e improduttive  e sottolinea come se la ricchezza viene prodotta dai proletari, se il plusvalore è espropriato dalla borghesia - che sono classi produttive - una parte di questo plusvalore viene consumato dalla classe media che è quindi una classe improduttiva.


Ai tempi di Marx la classe media era costituita essenzialmente da domestici, impiegati (che erano ancora pochi) e insegnanti e Marx sostiene che questa classe volge i "servizi! per la borghesia che quindi le indirizza una parte del plusvalore. Credo però che con il sorgere del consumismo - all'incirca dagli anni '40 del 900 ma più prepotentemente dagli anni '50, dopo la ricostruzione postbellica, il ruolo delal calsse media sia diventato più centrale in quanto questo ruolo di consumatore è diventato essenziale nell'economia capitalistica in quanto serve a compensare - insieme con le misure monetaristiche e al deficit spending - il sottoconsumo strutturale al modo di produzione capitalistico. Questo non risolve ovviamente le contraddizioni di questo modo di produzione, che infatti va incontro comunque alle cirsi cicliche su cui Marx tanto ha scritto, ma ha una funzione come dicono gli economisti anticiclica.


In sostanza la classe media oggi non viene pagata per produrre, ma per consumare - le sueprestazioni lavorative sono sostanzialmente inutili per lo meno in rapporto al grande sviluppo numerico di queta classe negli ultimi 70 anni. E credo che questo ruolo di essere pagati per consumare sia all'origine della profonda falsa coscienza di questa classe, falsa coscienza che oggi si esprime sopratutto attraverso l'adesione a ideologie complottistiche.

domenica 23 agosto 2020

Virus

Ora il problema non è neanche il virus in sé. Io ho dei grossissimi dubbi sulla medicina mainstream. Dal punto di vista pratico spesso non funzionae (vedi tumori, diabete, gran parte delel cardiopatie) e i fondamenti teorici sono per lo meno dubbio e spesso inferiori a quelli per esempio della medicina cinese,  Il problema e che se rinunciare a qualcosa per l'interesse comune è una dittatura, come dicono molti, vuol dire che l'individualismo borghese (chiamiamolo così) ha talmente deformato i cervelli che non c'è più (quasi speranza:  penso soprattuto agli "alternativi" che vogliono la libertà e sono invece perfettamente inquadrati nel sistema borghese delle monadi senza fineste.


lunedì 25 agosto 2014

Exit strategy

Walter Siti sembra aver preso la mia osservazione alla lettera. Sto leggendo "Exit Strategy" e mi sto scompisciando dalle risate. La cosa paradossale è che più le osservazioni sono vere, più fanno ridere. Non dovrei stupirmi. Essere seri, che ai tempi della borghesia eroica significava decoro e cultura, siginificava il puritanesimo borghese di Weber, - e anche il borghese avaro e cattivo ma dedito di Marx - oggi significa pensare e parlare solo di sesso figa privilegi - privilegi. non potere, perché il potere implica responsabilità e fatica: Il resto sono giochi o idealismo. Siti è quindi costretto all'ironia per parlare di cose che in fondo dovrebbero essere normalissime - invoca spesso la trascendenza, ma bello vero giusto autentico creativo puro sono cose materialissime.  Siti stesso aveva intuito,  in "Contagio", come il modello della borghesia stesse diventano il sottoproletariato. Però il sottoproletariato ha una purezza, che si perde nel passaggio alla piccola media e alta borghesia.

Feelings

I said that McEwans's novel "Enduring love" was illuminating. But it was illuminating in a dialectical way. In fact. not even a statement in the novel is true, and not even a feeling is deep. False conceptions and shallow felleing is the mark of middle class - but it is rarely so well described. Morevoer, if a false thesis is well presented. it is easy to find its anthitesis.

The main idea udnerlying the novel is that feelings and reason are at odd. This doesn't correspond to my experience. True skepticals are  wam and passionate - read the character of Socrates in Plato dialogues. And proletrians, thouth ardently passionate, are very clear-minded (see my previous post ). Although feelings can obscure reason (and reason repress feelings) there is no fundamanetal contradiction between the two, Only with a bad disposition of mind we can garble them. It is like right and left hand in knitting - the coordination is dificult and sometimes we make mistakes, but we don't claim that there is a fundamental contraditiction between left and right hand.

When I was a chid I often wondered "why feelings exist?" When I touch the fire I feel pain - but why? Why this long chain fire -> pain -> retreat? Would it not be simpler and faster fire->retrat? Thanks to the misunderstandings of McEwan I understood that we learn also with feelings. We learn through mental representations. These representations can be verbal, visual, and also made of feelings. Feeling representations are probably most primitive, and are present also in many animals, but for this very same reason they are also powerful and somtimes irreplaceable.

Enduring love

I have read McEwan's novel "enduring novel". I don't know if it is a great novel, but it is illumianting. Its core meaning is science and rationalism as religious (metaphysical) justification of the bourgeois way of life. I dare say that the meaning of my life - if life has a meaning - is that the burgeousis way of life and all the bourgeouis way of thinking are agains reaston. Today this means a rather solitary lfie, since we have married the bourgeois way of life with irraionalism.

I report an excerpt of the novel:

" We live in a mist of half-shared, unreliable perceptions, and our sense data come warped by a prims of desire and belief, which tilted out memories too. (...) Pityless objectivity, especially about ourselves was always a doomed social strtegy, We're descended from the passionate, indignant tellers of half truths  that in order to convince others, simultaneously convinced themselves. (...) This is why there re divorces, border diputes and wars, and this is why this statue ofthe Virgin weeps blood and that one of Ganesh drinks milk. And that was shy metaphysics and science were such curageous etrprises (..) huma artifacts set against the grain of human nature Disinterested truths".

This is a surprendent example of self-convinced half-truths: we ebguile ourselves, but is necessary very much beguilement to say that hat divorce from misunderstanding, and not from the fact that sometimes love ends, and that.wars arise self-deception and nio from conflicting interests. From this to say that our wars are disinterested truth ant the wars of other are due to ignorance - like in the Middle West today -  is just a small step further.



mercoledì 21 maggio 2014

Feudalesimo capitalistico

Gobetti, come dicevo in un altro post, individuava nella mancanza di borghesia la causa dell'arretratezza italiana. La DC trovò però una soluzione geniale al problema: far fare il capitalismo non ai borghesi, ma alle classi parassitarie, feudali, e reazionarie che negli altri Paesi erano il peggior nemico del capitalismo e che era stato necessario abbattere per via delle rivoluzioni borghesi, prima fra tutte la Rivoluzione Francese. I cattolici sono cioè riusciti a fare una splendida sintesi tra feudalesimo a capitalismo, unendo i mali di un sistema e dell'altro. La sinistra mi sembra non si sia mai resa conto che l'Italia prima di Vittorio Emanuele II e poi della DC era un mostruoso feudalesimo capitalistico. Forse l'unico che ha compreso il fenomeno è stato l'aristocratico Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che con il suo famoso "tutto cambi perché nulla cambi" indicava proprio questo diventare capitalisti delle classi aristocratiche. Questo sistema che riesce a fondere il peggio del tutto ottiene anche il fantastico risultato di confondere completamente le idee. In Italia infatti molti, senza accorgersene, ritengono che idee tipicamente dell'Ancien Régime siano liberali e idee tipicamente liberali siano idee dell'Ancien Régime. E fosse solo un problema di storia delle idee, è un problema di individuazione dei nemici.

Oggi la politica economica la fa l'Europa (o meglio la Germania), e nonostante molte cose siano cambiate (in peggio) la sostanza del nostro sistema è rimasta pari pari.

Borghesia

Gobetti individuava i mali dell'Italia nella mancanza di borghesia, idea che è stata ereditata dal gruppo prima del Mondo e poi di Repubblica. Le idee di Gobetti probabilmente centrano un nodo fondamentale anche per chi non è liberale. Se non c'è la borghesia, infatti, non puoi neanche abbatterla. E se i proletari lottano lottano contro il feudalesimo, cioè contro i nemici della borghesia, non contro il nemico del proletariato che è ovviamente ila borghesia stessa.


domenica 3 giugno 2012

Borghesia italiana

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-355ffaf7-939f-42ad-a607-2561ed061f31.html?refresh_ce

E' raro che linki la televisione, ma le lacrime di coccodrillo di De Rita meritano un commento. Lacrime di coccodrillo perché la creazione di un ceto medio immenso e indistinto a partire essenzialmente dai contadini piccoli proprietari (la stessa classe sociale a cui secondo Marx nel 18 brumaio si appoggiò per la sua vittoria Napoleone III) fu voluta dalla DC per creare o comunque favorire un proprio bacino elettorale e De Rita contributì non poco - la teorizzazione del piccolo è bello e del terziario e quaternario ruspante del CENSIS andavano decisamente in questa direzione. Del resto, facendo finta che non fossero interessati, va tenuto presente che prima degli anni '50 l'Italia era un paese agricolo senza borghesia, se non a Milano, e in parte a Torino, dove tuttavia la borghesia nasceva nel seno o in stretto collegamento con l'aristocrazia militare (la FIAT divenne una grande industria con le commesse militari della prima guerra mondiale). Non sto dicendo assolutamente nulla di originale, l'estrema risicatezza della borghesia in Italia era un luogo comune della discussione sociale fino a qualche anno fa - prima dello strabordare del ceto medio. La DC inizialmente praticò una specie di strano keynesismo, creando domanda per le poche fabbriche del nord attraverso una spesa pubblica smisurata:  IRI; impiego pubblico, sussidi, anche la corruzione rientra in questo modello. A partire in particolare dagli anni '70 puntò invece sulla creazione di un tessuto economico diffuso - in particolare in Veneto, giacché il Veneto e non il sud era la sua roccaforte elettorale - creando come dicevo un tessuto economico polverizzato di padroncini (le partite IVA) reclutato a partire in parte dai piccoli proprietari in parte dagli operai espulsi dalle grandi fabbriche in trasformazione - si pensi alla FIAT che ridusse il proprio personale in misura considerevolissima dopo la (http://it.wikipedia.org/wiki/Marcia_dei_quarantamila del 1980 "esternalizzando", cioè cedendo parte delle proprie attività a piccole imprese, per esempio la catena dei rifornimenti ai camionisti un tempo dipendenti della FIAT stessa e ora diventati partita IVA. Una volta fatto partire, questo tessuto di microimprese e il ceto medio che esso produceva si trovarono a crescere considerevolmente a partire dalla dine degli anni '80 con la  terziarizzazione, cioè con l'espandersi del settore dei servizi a scapito di quello dell'industria. Del resto la crescita del ceto medio è un fenomeno globale, nei Paesi avanzati legato appunto alla terziarizzazione, nei paesi del sud del mondo grazie all'esplosiva crescita economica cominciata con la liberalizzazione degli scambi internazionali di capitali voluta dalla Thatcher e da Reagan all'inizio degli anni '80.
Questo ceto di padroncini, in gran parte insieme con i loro impiegati, una volta dissoltasi la DC, hanno trovato rappresentanza in Berlusconi. Caduto (forse) Berlusconi, gli impiegati di questi padroncini sembrano aver trovato rappresentanza in Beppe Grillo.

Va detto comunque che lo strabor

lunedì 6 giugno 2011

Dai diamanti non nasce niente

Ho letto con divertimento il libro di Serena Dandini “Dai Diamanti non ansce niente” sulla sua passione per i giardini. Di giardinaggio, niente o quasi, in compenso è un magnifico saggio sui gusti di un radical-chic. E mi ha fatto riflettere su come il termine sia di massimo disdoro, quando questa categoria – proveniente dalla sinistra, più dalla piccola borghesia che dall’alta borghesia – in Italia è stata certo di scarso aiuto per le masse, ma in compenso ha parzialmente supplito alla mancanza di una borghesia progressista (qualcosa del genere dicevano anche quelli del “Manifesto” a proposito di sé stessi); il fenomeno esiste del resto, in modo attenuato, in tutto l’occidente, in quanto la borghesia ha perso molto del ruolo progressivo che aveva nel XIX secolo e si è in genere ripiegata su posizioni più o meno reazionarie o fasciste – tranne forse che negli Stati Uniti.

martedì 5 gennaio 2010

Superclass


Exceptionnellement, je présent un article de Giorgio Ruffolo (L'Espresso 28 settembre 2008) qui décrit bien la situation économique et politique actuelle.


Fino a qualche tempo fa l'attenzione degli economisti era attratta dalla estensione della povertà. Da qualche tempo, l'interesse si è spostato invece sui ricchi. Anzi, sui ricchissimi. Non è voyeurismo. Si tratta di sapere in che tipo di società viviamo e come si esce dalla situazione attuale della crisi del capitalismo. Il posto occupato dai ricchissimi non ha molto a che fare con tutto ciò. Uno dei lavori più recensiti, in America, è quello di David Rothkopf, personaggio eminente sia nel campo degli studi socia­li, sia, soprattutto, negli ambienti politici, È stato vicino a Clinton e a Rockefeller. Il suo ultimo libro, "Superclass" (Mondadori), continua a fare rumore, anche perché è con super ricchi (dice che sono seimila circa), i protagonisti del suo testo, che chi oggi pensa di rifondare il capitalismo, dovrà fare i conti. Rothkopf li incontra a Davos, dove si aggirano le ombre della montagna incantata di Thomas Mann: il fascino della signora Chauchat, la pudica malinconia di Hans Castorp. Ce li presenta in uno di quei mondanissimi convegni annuali che sembrano (sembravano) dare indirizzo e razionalità alla globalizzazione. (...). C'è una una sola fede: incrollabile, come quella dei templari, o dei massoni, la fede nel supercapitalismo, liberato da ogni vincolo nazionale e da ogni preoccupazione sociale. Ciò che distingue il nostro tempo infatti non è resistenza di élites nazionali, ma la presenza di una élite sciolta da legami di terra e di sangue, librata in una "candida rosa" al di sopra dei governi, degli Stati, delle nazioni. Una élite vera, nel senso della capacità di governo? E lecito nutrire qualche dubbio, dal momento che fino a poco fa molti di loro, alla testa di banche, erano ignari della spazzatura che si era accumulata nei loro forzieri. Viene il dubbio che non si tratti di una élite e di un governo mondiale ma di un ceto di mandarini privilegiati e irresponsabili: una "schiuma". I loro stipendi eguagliano i redditi di intere nazioni. Non si dovrebbero neppure chiamare stipendi perché non appartengono alla categoria del lavoro e neppure a quella del capitale, ma della rendita (di posizione). Un giorno si dovrà fare il bilancio di quanto è costato alla comunità mondiale questo capitalismo finanziario che ha generato questa plutocrazia irresponsabile. Si dovrà fare il confronto tra il capitalismo regolato degli anni Cinquanta e Sessanta, gli anni del compromesso socialdemocratico, l'età dell'oro, quando una forte crescita si accompagnava con la riduzione delle disuguaglianze; e il capitalismo finanziario generato tra la fine degli anni Settanta e rinizio degli Ottanta dalla decisione strategica del duo Thatcher-Reagan, di liberalizzare i movimenti di capitale. Sono queste le decisioni di governo, non le conferenze di Davos, che hanno segnato la mercatizzazione mondiale dello spazio (globalizzazione) e del tempo (finanziarizzazione). Il fallimento del mercato non si rivela infatti nelle Borse che vanno a picco ma nell'incapacità di generare una economia sostenibile ambientalmente ed equa socialmente. Ma è un fallimento che mette a rischio anche la democrazia. E forse è questa la vera sfida del prossimo futuro. Stiamo parlando dell'aumento della potenza delle corporation rispetto agli Stati nazionali. Nel 2007 il prodotto lordo mondiale era stimato in 47 trilioni di dollari. Le vendite delle prime 250 imprese multinazionali ammontavano a 15 trilioni. Di quelle 250 macroimprese le prime cinque contavano più del prodotto totale di duecento Stati del mondo. Prendiamo gli Stati con più di 50 miliardi di dollari di prodotto nazionale lordo e le imprese con più di 50 miliardi di dollari di vendite. I primi sono 60, le altre 166. Come indici approssimativi del loro potere mondiale le cifre parlano chiaro. La potenza del mondo si concentra in pochi soggetti privati, politicamente irresponsabili; ma decisivi quanto alla selezione dei candidati alle elezioni dei paesi democraticatici. Qui si innesta l'aspetto decisivo dello slittamento dai potere dagli Stati alle corporation: non solo l'enorme flusso di denaro che da queste si riversa sulla classe politica nelle forme del finanziamen­to illegale, ma sempre più in quelle ormai aperte dei giganteschi contributi eletto­rali. Quello che era una vol­ta il mercato furtivo delle tangenti è diventato l'acqui­sto all'ingrosso dei candidati e dei partiti in occasione delle contribuzioni alle ele­zioni presidenziali e parla­mentari, perfettamente legali. All'afflusso del denaro si aggiunge la pressione lobbistica. Dal 1975 al 2005 il numero dei lobbisti registrato a Washington è passato da 3.400 a 33.000. Nel 2005 gli uffici della Commissione europea di Bruxelles ospitavano diecimila lobbisti. E le pressioni non hanno bisogno di essere esercitate illegalmente, perché ogni atto politico, anche il più banale, come un appuntamento, ha un prezzo di mercato. (...). La pubblicità è il più formidabile strumento in mano alle grandi corpora­tion per sostenere il loro potere. È uno stru­mento sostanzialmente politico, in quanto comanda l'allocazione delle risorse attra­verso l'asimmetria dell'informazione. L'ammontare mondiale delle spese pubblicitarie è stimato in oltre 500 miliardi di dollari, circa l’1,3 % del prodotto lordo mondiale, e più di sette volte la spesa de­stinata alla ricerca sanitaria (70 miliardi di dollari). Maggiore del budget militare degli Stati Uniti (425 miliardi di dollari). (...) Ma che cosa re­sta della democrazia, se i poteri irresponsa­bili delle multinazionali surclassano gli Stati nel controllo delle risorse; se sono in grado di controllare le fonti delle decisioni po­litiche attraverso il lobbismo sistematico; se sono in grado di orientare i flussi della domanda verso la loro offerta di beni (e di mali) privati, deprimendo l'offerta di beni sociali? Lo spazio delle decisioni basate sulla partecipazione e sul consenso dei cittadini si restringe implacabilmente, mentre si amplia quello basato sulle decisioni di consumo largamente influenzate dalle scelte di investimento delle grandi corporation. A Davos, in quella montagna disincantata, non c'è più traccia dellajpudica malinconia di Hans Castorp e del sorriso affascinante della signora Chauchat. C'è solo il vocìo profano dei ricchissimi che si complimentano rassicurandosi reciprocamente. Fino a che qualcuno non oserà a sfidarli.

lunedì 21 luglio 2008

Walter Siti


Ho letto con piacere l'ultimo "pasoliniano" romanzo di Walter Siti, "Il Contagio". Descrive bene il mondo dei sottoproletari, il misto di nefandezze e purezza che lo caratterizza. Verso la fine il protagonista - dopo questa immersione tra i Lumpen - abiura tutti i principi di correttezza piccoloborghesi. Interessante e vero - però credo che Siti non abbia colto nei sottoproletari un tratto importante: la generosità. Marcello si dà chiaramente senza calcolare quanto otterrà, poco o tanto non gli importa, e in questo è completamente diverso dal borghese che non fa nulla senza pesare accuratamente il suo tornacono - monetario, affettivo, di potere, di piacere. Mio padre diceva "fai il bene e buttalo a mare, che Allah lo raccoglierà"; Marcello non ragiona molto diversamente, fa il bene e lo butta a mare, aspettando che Allah lo ricompensi con il denaro necessario per la cocaina (ovviamente Marcello sa anche che è meglio aiutarsi che dio t'aiuta).
Insomma, Siti è talmente chiuso nell'orizzonte borghese che non si è accorto che la correttezza borghese è necessaria quando i rapporti tra le persone sono di scambio "equo", mentre non significano nulla quando lo scambio è "infinito". E diventa naturale allora anche commettere oscene nefandezze con spito assolutamente puro.