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martedì 28 maggio 2013

Machiavellismo

Machiavelli bene o male è uno dei padri del pensiero laico, in un Paese, l'Italia, in cui i laci sono pochissimi. Il principe è fondamentalmente un appello a Lorenzo il Magnifico per unificare l'Italia. Mi sembra però che anche i più vicini al sentire di Machiavelli -  che era repubblicano e patriota - forse non lo capiscano pienamente. Si dice che per Machiavelli la politica debba seguire una morale diversa da quella corrente, ma qual è questa morale? Spesso si dimentica che tutta la prima parte del "Principe" è una critica degli esereciti mercenari e una difesa dell'esercito di leva. E in questa parte sta il vero senso teorico del "Principe": la politica è guerra. In guerra non tutto è pemesso, anche se la morale di guerra (e i codici di guerra) sono diversi da quelli di pace: le atrocità non sono ammesse neanche se portano alla vittoria, è permessa la frode ma non la slealtà, i nemici si possono uccidere ma ogni combattente deve essere rispettato, ecc. L'idea in realtà non è nuova: un re è legittimo o per eredità, o perché ha conquistato un regno in guerra. Non a caso a Napoleone sconfitto a Waterloo venne lasciato il regno dell'Elba - un po' era uno sberleffo, un po' nasceva dal fatto che ormia il titolo di re se l'era conquistato per diritto di guerra.
La novità  - immensa - è che se abbiamo diversi attori in guerra, possiamo studiare scientificamente le leggi che portano al prevalere di una parte o dell'altra, cosa che non sarebbe possibile se il potere discendesse da dio come sosteneva San Paolo o se avesse una legittimazione morale.

Personalmente penso che non solo la guerra debba essere superata, ma che in fondo lo sia già stata. Machiavelli resta un faro, ma servirebbe un nuovo Machiavelli che ci insegnasse quali sono le leggi della politica in un regime di pace. Le leggi della guerra spesso erano dure, ma erano leggi del cambiamento. Abbiamo molta giurisprudenza, molti principi, ma nessuno che ci permetta di gestire il cambiamento in tempo di pace.

lunedì 9 febbraio 2009

Cambiamento


La nostra era abbonda di laudatores temporis acti. Ora, quando le cose cambiano, si perde da una parte e si guadagna dall'altra; quando siamo passati da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori, per esempio, abbiamo perso moltissimo, ma abbiamo guadagnato moltissimo; quando siamo passati dalla tradizione orale a quella scritta abbiamo perso moltissimo - come ci ricorda Platone in un passo famoso - ma abbiamo guadagnato molto di più - oltre che dal punto di vista pratico, la scrittura ha potenziato enormemente le nostre facoltà logiche. I nostalgici del passato non si lagnano, tuttavia, di ciò che perdono; si lagnano del cambiamento di per sé; non sanno, i tapini, che si può indirizzare il cambiamento in una direzione che minimizza quello che si perde - era quello che tentava di dire Pasolini, in modo caotico e poco comprensibile, perché era un poeta, ma in modo efficacissimo.

mercoledì 8 ottobre 2008

treno

Certe volte sembra proprio di aver perduto tutti i treni. Del resto, ogni volta che c'era il rischio di cambiare, a ricchi e potenti veniva il mal di pancia, col risultato che si è seguita sempre la linea del minimo sforzo - e la linea del minimo sforzo porta nelle buche. E' successo lo stesso nell'Antica Roma; ogni volta che la plebe muoveva un passo, al senato veniva una crisi isterica. Mah.