L'occidente è ossessionato dall'eternità, e credo che il problema sia precristiano ("carpe diem" di Orazio"): Basti pensare che l'ISIS ci ha fatto più paura distruggendo i resti archeologici (cancellando cioè quello che dovrebbe essere eterno) piuttosto che sgozzando le persone e mettendo le donne nelle gabbie. In varie altre culture l'impermanenza e la morte sono molto più accettate, e il buddismo ne fa il fondamento della sua filosofia.
Questo terrore dell'impermanenza sta alla radice del pervertimento di alcune pratiche di conservazione. Un recente libro di Chris Thomas "gli eredi della terra" spesso non è del tutto condivisibile, ma nella tesi centrale assolutamente sì: conservazione deve significare aumento e mantenimento della biodiversità, non annullamento del cambiamento che è la regola della vita (e non solo di quella). Senza entrare nella discussione delle alloctone, mi è capitato spesso di avere ache fare con ecosistemi che il pubblico riteneva in via di "degradazione" e invece stavano subendo una successione secondaria (che in linea di massima è un fenomeno auspicabile): I forestali, quando nel bosco compaiono gli alberi morti, che svolgono essenziali funzioni ecosistemiche (per esempio dare rifugio a una quantità di animali ormai molto rari come coleotteri e picchi) dicono ancora che "il bosco sta morendo".
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