venerdì 3 ottobre 2008

Legge

I comunisti – e mi ci metto anche io – hanno sempre pensato che le leggi servono a sancire la prevaricazione dei potenti sui deboli - e che quindi è giusto violarle. Spessissimo è così - basti pensare alle leggi di segregazione razziale sudafricane e del sud degli Stati Uniti – ma la legge è nata esattamente per il motivo opposto: le prime vere leggi – i greci non avevano un vero diritto, per esempio le tavole di Gortina, una raccolta di leggi che ci è stata fortunosamente conservata, riguardano quasi solamente il diritto matrimoniale – furono imposte dalla plebe romana contro l’arroganza dell’aristocrazia (il senato). Generalizzando, una legge giusta è una legge contro i prepotenti, mentre una legge iniqua è una legge che sancisce la prepotenza – al dilemma di Antigone si potrebbe rispondere semplicemente questo – e una legge superflua, e quindi tendenzialmente iniqua, è una legge che si occupa di ciò che non riguarda i prepotenti. Il prepotente può essere un bullo, un gradasso ignorante che ti taglia la strada in macchina, così come un sofisticato broker che specula sui tuoi risparmi, non fa molta differenza. Oggi si parla di “legalità” invece che di legge (di diritto oggettivo), ovvero non ci si chiede più se una legge sia giusta o ingiusta, ma solo se sia stata emanata da un governo legittimo. Se si fosse capito che distinguere tra legge giusta e legge ingiusta è molto più semplice di quello che si pensa, non saremmo a questo – guarda che ti combina una conoscenza confusa della storia politica romana. Il fatto che la legge serve solo a combattere i prepotenti corrisponde esattamente al fatto che i cittadini sono uguali di fronte alla legge – se ci sono prepotenti il principio di uguaglianza viene violato. Purtroppo questo principio, lampante per chi viveva ai tempi dell’Ancien Régime, oggi è quanto di più oscuro ci possa essere: 1) in una società multietnica e pluralistica è assai difficile stabilire cosa significa uguaglianza; 2) in fondo la critica dei socialisti al “diritto borghese” consisteva semplicemente nell’osservazione che a nulla serve l’uguaglianza civile se sussistono enormi disuguaglianze economiche; ma il tentativo di livellare il potere economico – sia nella forma del socialismo reale che in quella della socialdemocrazia - palesemente non è riuscito, col risultato che le disuguaglianze di reddito vengono ormai accettate come un fatto naturale, come qualcosa di positivo per la società nel suo complesso (in economia ciò si chiama, o meglio si chiamava prima del cataclisma economico USA, supply side economy), o come il risultato del “merito” dei privilegiati.

Ora, non è che questa formulazione “plebea romana” sia tutta rose e fiori.
1) Una persona che non si lava e mi offende con il suo odore intenso è un prepotente? Qui entra in gioco la tolleranza: posso benissimo sopportare un odore acre, perché vengono offesi solo i miei gusti – mentre colui che mi taglia la strada mi mette in pericolo oggettivo. La tolleranza infatti in nient’altro consiste se non nel non considerare offesa – o per lo meno nel sopportare - quello che offende solamente il mio gusto – un amante del gelato al pistacchio non considera offesa il fatto che qualcuno mangi il gelato alla fragola, mentre, e non c’è differenza sostanziale, alcuni si offendono quando vedono costumi e comportamenti diversi dai loro - ed è infatti strettamente collegata con l’apertura mentale.
2) Quando le risorse sono pubbliche, può diventare lesivo un comportamento che in un sistema privatistico è del tutto indifferente. Se mi ammalo di raffreddore, in un sistema privatistico danneggio solo me stesso, in un sistema pubblico danneggio tutti quelli che usufruiscono del sistema, perché diminuisco le risorse a disposizione; e stabilire che un comportamento è dovuto a causa di forza maggiore (il virus) o a negligenza e quindi a colpa (l’essere andato in giro in magliettina) è problema assai delicato. I rischi per la libertà sono quindi gravissimi. Il problema è più diffuso di quello che si può pensare, riguarda per esempio la sicurezza, che è gestita quasi interamente da strutture pubbliche.

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