martedì 30 settembre 2008
destra e sinistra
Non ricordo chi diceva che gli uomini si dividono in iletici e pneumatici, cioè in materiali e spirituali. Oggi, la distinzione tra destra e sinistra corrisponde ampiamente a questa distinzione, ma il fatto che si fondi su una differenza spirituale, di carattere, indica un profondo vuoto della politica: la politica è un gioco di interessi, non di gusti.
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lunedì 29 settembre 2008
crack
Il aurait faillu laisser faillir toutes le banques trop endettées; mais on a eu peur, les Démocratiques aussi, on a sauvé les banques en endossant les couts à l'Etat, et maintenant le sprévision des économistes sont très sombres. Quand une jambe a la cancrène, il faut amputer, ou la cancrène se propage au corp entier.
sabato 27 settembre 2008
revisionismo
La riscrizione della storia, oggi così di moda, ha come sottofondo l'idea, assai radicata nel nostro Paese, che ha ragione chi è più forte. Quindi, il fascismo e il nazismo non sono male perché erano una macelleria, ma perché hanno perso. Quanto al fatto che c'erano repubblichini in buona fede, è certo vero, ma non gli si fa un complimento - vuol dire che erano un po' tonti. I carabinieri, forse per testardaggine, volevano difendere anche loro l'onore patrio, ma stettero col re.
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pubblico impiego
Il vero problema del pubblico impiego è che la mano destra non sa cosa fa la sinistra, non le scemenze che dice Brunetta. Nel privato ci sono nugoli di imbucati, ma la loro azione frenante viene scavalcata da efficienti reti di comunicazione; nel pubblico i volenterosi – che sono molti più che nel privato – vengono spesso paralizzati dal fatto che la pratica x deve passare dall’ufficio A all’ufficio B, dove il responsabile nulla sa della pratica x.
Purtroppo agli italiani non interessa risolvere i problemi, agli italiani piace conversare, e quale migliore argomento di conversazione dei luoghi comuni, come quello dei “fanulloni”? I luoghi comuni hanno il vantaggio che mettono tutti d’accordo, mentre la soluzione dei problemi comporta spesso divergenza di opinioni, con la sgradevole conseguenza che talora si perde e talora si deve cambiare idea –cose temutissime nel Paese dove alcuni sono infallibili e altri hanno sempre ragione.
Purtroppo agli italiani non interessa risolvere i problemi, agli italiani piace conversare, e quale migliore argomento di conversazione dei luoghi comuni, come quello dei “fanulloni”? I luoghi comuni hanno il vantaggio che mettono tutti d’accordo, mentre la soluzione dei problemi comporta spesso divergenza di opinioni, con la sgradevole conseguenza che talora si perde e talora si deve cambiare idea –cose temutissime nel Paese dove alcuni sono infallibili e altri hanno sempre ragione.
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venerdì 19 settembre 2008
Lehman and bros
Peu avant, le lisais sur l’article de Wikipedia “produit derivé” la phrase suivante: “on retrouve là la même dynamique que celle déjà vue sur les transactions à terme : des professionnels en couverture d'actifs d'un côté, et de l'autre des spéculateurs intéressés par le risque sans engager de capitaux. Les credit default swaps (CDS) ont notamment permis le transfert massif de risques de crédit détenus par des banques d'investissement vers d'autres institutions financières : banques commerciales, caisses de retraites et surtout compagnies d'assurance. » En effet, Lehman et brothers, l’une des plus grandes compagnies d’assurance, vient de faillir.
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mercoledì 17 settembre 2008
Stefano Rosso
Ieri è morto Stefano Rosso. La canzone che mi piaceva di più è quella che fa: "colpo di stato - ma che colpo se lo stato qui non c'è". In effetti, se non c'è stato il colpo di stato, è stato per mancanza di stato.
martedì 9 settembre 2008
responsabilità
Si parla molto di merito, tolleranza zero, legalità - ma tolleranza, rigorosità, ecc. si applicano sempre e solo aglia altri - meglio se deboli. Se i ragazzi non imparano, la colpa è degli insegnanti; se la città è sporca, la colpa è degli zingari, se i politivi vengono inquisiti, la colpa è dei magistrati. Non sarebbe forse inopportuno cominciare a parlare di responsabilità - nel Mediterraneo deve essere un problema antico, se qualcuno ricordava di non guardare la pagliuzza nell'occhio del vicino, ma la trave nel proprio occhio.
domenica 7 settembre 2008
disintegrazione
Il consueto articolo domenicale di Scalfari di oggi mette in guardia dal rischio di disgregazione, dovuto, a suo parere, all’attivismo di singole individualità che cercano il dialogo personalmente, senza seguire una strategia di partito. E’ significativo che il dibattitto di oggi nella sinistra – amche in quella radicale, in fondo – ruoti tutto intorno al dialogo. In Italia, almeno dalla morte di Moro, ma n gran parte anche prima, il PCI ha governato sostanzialmente insieme alla DC, anche se in un ruolo fortemente subordinato, con la sinistra cosiddetta extraparlamentare – cosiddetta perché alcune piccole frange erano in parlamento – che dietro la parola d’ordine della “rivoluzione” in realtà si opponeva proprio al consociativismo.. Oggi, che quello che è stato chiamato consociativismo non è pù possibile, si sentono orfani. Se fossero riusciti a imporre la propria egemonia sull’Italia – e va notato che Prodi c’è andato vicinissmo due volte, e due volte è stato fermato proprio dal PDS/PD - avrebbero gestito il Paese probabilmente in modo simile alla Toscana e alla Romagna – e qui veniamo a un punto che moltissimi commentatori hanno sottolineato, come, a differenza degli altri Paesi occidentali, dove lo stato è nettamente separato dai partiti, in Italia questi vengano a coincidere, con l’eccezione della presidenza della Repubblica, che non a caso gode di ampi consensi indipendentemente dalla provenienza politica del Presidente. Fondamentalmente questa mancata separazione tra stato e partiti dipende dalla debole idea di istituzione pubblica degli italiani, in gran parte dovuto al fatto che non abbiamo mai avuto la monarchia assoluta come nel resto d’Europa né una società tendenzialmente ugualitaria come quella che ha dato vita alla Costituzione americana – ma soprattutto al fatto che i due maggiori partiti non si fidavano l’uno dell’altro – forse a ragione – e non hanno mai consentito che sorgessero istituzioni che non fossero rigidamente controllate bilateralmente dai due partiti principali, o attraverso una spartizione di aree territoriali (Toscana contro Veneto eccetera). Oggi, com’è come non è, la separazione tra istituzione e partiti viene richiesa – una delle tante vittorie di Pannella – e la destra ha vinto soprattutto perché è più estranea alla gestione della cosa pubblica della sinistra. Scalfari distingue, nel suo articolo, “dialogo” e “confronto”, e vuol dire proprio questa cosa. Ovviamente, le idee del popolo italiano sono assai confuse – confusione che forse la destra non ha poi tutto questo interesse a dissipare: chiedono lo stato di diritto, e lo chiamano “legalità”; chiedono che il pubblico impiego sia al servizio dei cittadini, e non al servizio di sé stesso, e lo confondono con la lotta ai “fannulloni”; chiedono che gli appalti pubblici siano trasparenti – usiamo ques’eufemismo – e credono che la via di uscita sia non pagare le tasse, legalmente (ICI) o illegalmente.
Agli italiani farebbe bene un bel servizio militare all’estero; conoscerebbero altre realtà, e diventerebbero, come Totò, che aveva fatto il militare a Cuneo, “uomini di mondo”.
Ovviamente non ho la più pallida idea di come si possa riorganizzare la politica italiana; l’unica riflessione che mi viene in mente è che non abbiamo ancora deciso se avere dei partiti all’americana o all’europea, un partito democratico o uno laburista – per ora abbiamo un partiti alla thailandese – mi perdonino gli amici thailandesi, che fino a qualche tempo fa sembravano i nostri sosia, ma ultimamente stanno dimostrando di essere molto migliori e più consapevoli di noi. Un altro punto che mi viene in mente è che due generazioni quasi di persone – dal 1968 in poi – sono state escluse dalla politica – anche dall’università, per dire – in parte perché i maggiorenti hanno fatto entrare solo i fedelissimi, in parte per autoesclusione.
Agli italiani farebbe bene un bel servizio militare all’estero; conoscerebbero altre realtà, e diventerebbero, come Totò, che aveva fatto il militare a Cuneo, “uomini di mondo”.
Ovviamente non ho la più pallida idea di come si possa riorganizzare la politica italiana; l’unica riflessione che mi viene in mente è che non abbiamo ancora deciso se avere dei partiti all’americana o all’europea, un partito democratico o uno laburista – per ora abbiamo un partiti alla thailandese – mi perdonino gli amici thailandesi, che fino a qualche tempo fa sembravano i nostri sosia, ma ultimamente stanno dimostrando di essere molto migliori e più consapevoli di noi. Un altro punto che mi viene in mente è che due generazioni quasi di persone – dal 1968 in poi – sono state escluse dalla politica – anche dall’università, per dire – in parte perché i maggiorenti hanno fatto entrare solo i fedelissimi, in parte per autoesclusione.
giovedì 4 settembre 2008
essere
I filosofi si occupano sostanzialmente dell’essere. Ma, mi chiedo, non sarà che l’essere, non esiste? In fondo abbiamo bisogno dell’essere perché – da Pitagora in poi – pensiamo che le precezioni siano diverse dalla realtà – ma le percezioni sono – temo- la realtà. Certo, ci sono gli abbagli, le allucinazioni, ma un’allucinazione non dipende da un difetto della percezione, dipende da un malfunzionamento dell’intelletto. Moltissimi si sono accorti di quanti problemi comporti l’intelletto, ma spesso non realizzano che stanno non in un intelletto forte ma in un intelletto debole (e quindi spesso prepotente),– perché confondono l’intelletto con quel chiacchericcio interiore che ci accompagna (a me di solito no). E’ un bel po’ che non credo più al modello kantiano che tanto mi piaceva da ragazzo– per lo meno il Kant che ci hanno insegnato a scuola – secondo cui il magma delle percezioni deve essere ordinato dall’intelletto per risalire al noumeno soggiacente alle percezioni. Il problema è che le percezioni sono innumerevoli, pressoché infinite, e l’intelletto è generalmente troppo debole per adeguarsi a questa moltitudine di percezioni, e deve ricorrere alle categorie dell’intelletto per selezionare le più importanti – ma è solo una propedeutica. Voglio credere che quando l’intelletto è abbastanza forte da sostenere tutte le percezioni - e soprattutto il groviglio infinito di relazioni tra le percezioni – allora il noumeno si vede con gli occhi e si sente con le orecchie e si tocca col tatto e si gusta col gusto e si annusa con l’odorato. Lo so, sembro aristotelico perché dovrei dire dio, invece che noumeno.
Nel mio piccolo posso dire che quando ci si è abituati alle scienze, la matematica, che all’inizio sembra un’astrazione, si vede in tutte le cose – si vedono le formule, i logaritmi, le equazioni , le curve, gli spazi multidimensionali, le funzoni, gli integrali– il caso più semplice è la serie di Fibonacci che per primo Leonardo ha visto nella disposizione delle foglie delle piante.
Nel mio piccolo posso dire che quando ci si è abituati alle scienze, la matematica, che all’inizio sembra un’astrazione, si vede in tutte le cose – si vedono le formule, i logaritmi, le equazioni , le curve, gli spazi multidimensionali, le funzoni, gli integrali– il caso più semplice è la serie di Fibonacci che per primo Leonardo ha visto nella disposizione delle foglie delle piante.
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nuovi Trimalcioni
Scrivevo che Trimalcione, tanto disprezzato non solo dagli intellettuali del tempo ma credo da tutti i contemporanei, avrebbe potuto anticipare il capitalismo e quindi la Rivoluzione Industriale di 15 secoli, se non avesse preferito diventare un rentier – se avesse affermato i suoi valori invece di adeguarsi a quelli del tempo. Mi chiedevo anche chi sono i nuovi Trimalcioni, che disprezziamo proprio perché uomini nuovi. Credo che la risposta vada cercata nei poveracci, che qualcuno ha chiamato “neoproletari”, che vivono di sogni – la maggica Roma, comprarsi le Nike, diventare velina o calciatore. Già da molto tempo ci siamo accorti che il tardo capitalismo non vende più cose, ma sogni – forse converrebbe prendere sul serio questo cambiamento, ma sono il primo a non sapere come debba essere affrontato. Il keynesismo nacque da un cambiamento di prospettiva, dal considerare l’indebitamento dello stato - fino a quel momento per la saggezza convenzionale un orrore, anche perché era stato un bel problema per i monarchi assoluti dal XV al XVIII secolo - come un fattore positivo di crescita dell’economia.
Certo è che i nuovi Trimalcioni non sono i ricchi, che non vivono più né di rendita né di investimento e forse neanche più di sfruttamento o di rapina, ma di fumo, con cui coprono una montagna di debiti – arriverà il momento in cui il fumo leggero e inebriante si dissolverà, e la montagna ci apparirà in tutta la sua durezza, e ci sarà il ritorno alla realtà agognato dai fautori dell’”autenticità”. Eppure, forse, proprio questa massa smisurata di debiti, sottratti al controllo di quei personaggi - questi sì ormai al di fuori della realtà - che giocano con hedge funds derivati e futures – tanto le spese ricadono sui poveracci - potrebbe iniziare un nuovo ciclo – ma non chiedetemi come, sto ragionando su un’analogia, non su un modello
Certo è che i nuovi Trimalcioni non sono i ricchi, che non vivono più né di rendita né di investimento e forse neanche più di sfruttamento o di rapina, ma di fumo, con cui coprono una montagna di debiti – arriverà il momento in cui il fumo leggero e inebriante si dissolverà, e la montagna ci apparirà in tutta la sua durezza, e ci sarà il ritorno alla realtà agognato dai fautori dell’”autenticità”. Eppure, forse, proprio questa massa smisurata di debiti, sottratti al controllo di quei personaggi - questi sì ormai al di fuori della realtà - che giocano con hedge funds derivati e futures – tanto le spese ricadono sui poveracci - potrebbe iniziare un nuovo ciclo – ma non chiedetemi come, sto ragionando su un’analogia, non su un modello
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mercoledì 3 settembre 2008
Provincialismo
Uno dei sempiterni problemi del nostro Paese è il provincialismo. Ci sono sempre stati soggetti pienamente inseriti nel clima e nell’atmosfera internazionale – Leopardi, Svevo, Pirandello – ma si tratta di solito di elementi periferici, emarginati, mentre l’Istituzione del Paese rimane profondamente provinciale, resistendo a tutti itentativi di sprovincializzazione, per esempio quello degli anni ’60. Ci sono casi addirittura patetici, come quello di D’Annunzio, che ha cercato in tutti i modi di agganciarsi ai movimenti culturali europei – superomismo, decadentismo – rimanendo però sempre nell’animo un abruzzese di Pescara. E questo provincialismo è più spiccato andando verso nord, mentre al sud diminuisce considerevolmente. Ricordo la prima volta, da ragazzo, che andai a Milano, fummo ospitati dalla sorella dell’amico con cui andai. I vicini erano scandalizzati perché una donna stava in casa “con due uomini”! Ed erano i tempi della Milano da bere.
Mi sono sempre chiesto il perché di questo provincialismo. Forse è dovuto al fatto che non abbiamo mai avuto una capitale. Milano non è mai stata una capitale politica, solo economica, Roma è una cosa strana, l’unica capitale italiana è stata Napoli, e forse questo spiega perché il vecchio Regno delle due Sicilie, anche nei più sperduti paesi lucani o in Salento, si mostra molto meno provinciale del nord. La Puglia ha eletto presidente della regione un omosessuale senza nessun problema, il che credo sarebbe inconcepibile a Milano. Una capitale non deve necessariamente essere enorma, come Londra o Parigi, anche Praga a modo suo è capitale, basta che sia punto d’incontro tra le persone e punto di riferimento per il Paese.
Mi sono sempre chiesto il perché di questo provincialismo. Forse è dovuto al fatto che non abbiamo mai avuto una capitale. Milano non è mai stata una capitale politica, solo economica, Roma è una cosa strana, l’unica capitale italiana è stata Napoli, e forse questo spiega perché il vecchio Regno delle due Sicilie, anche nei più sperduti paesi lucani o in Salento, si mostra molto meno provinciale del nord. La Puglia ha eletto presidente della regione un omosessuale senza nessun problema, il che credo sarebbe inconcepibile a Milano. Una capitale non deve necessariamente essere enorma, come Londra o Parigi, anche Praga a modo suo è capitale, basta che sia punto d’incontro tra le persone e punto di riferimento per il Paese.
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Morte cerebrale
Il Vaticano se n’è uscito – anche se con un editoriale, quindi formalmente in una veste non ufficiale – che la morte cerebrale è un criterio di morte in contraddizione con la dottrina cattolica. Ora, il problema non è tanto che questa posizione di fatto significa che la maggior parte dei trapianti sono considerati in contrasto con la dottrina cattolica; il fatto grottesco è che le posizioni della Chiesa in campo biomedico non vanno assolutamente prese sottogamba e esprimono anzi una preoccupazione che i laici possono largamente condividere – ma sono, dal punto di vista spirituale, una posizione farisaica che contraddice ampiamente non forse la dottrina cattolica, ma certamente quella cristiana.
Eutanasia, clonazione, ingegneria genetica, e mille altre, possono rappresentare un enorme progresso per l’umanità, ma aprono prospettive preoccupanti – molte ricordano le manipolazioni sugli embrioni descritte da Aldous Huxley in Brave New World, altre non sono lontane dall’eugenetica. La Chiesa è giustamente preoccupata di queste possibili inquietanti deviazioni. Credo però che il Vaticano cerchi di fermare una valanga con una mano, in quanto le biotecnologie proseguono al galoppo e soprattutto sono sponsorizzate da stati – come la Gran Bretagna o la Corea – su cui l’influenza dei cattolici è nulla. In altre parole, per quanti divieti possiamo inventarci, si troverà sempre il modo per aggirarli. Per esempio, la Chiesa ha sollevato un putiferio sull’uso di embrioni di pochi giorni – col risultato di stimolare la scoperta di tecniche che permettono di clonare direttamente cellule del midollo osseo, muscolari, ecc. L’unica soluzione al problema sociale esistenziale ed etico delle biotecnologie credo sia quella di conferire la potestà sul "materiale biologico" alle persone da cui derivano, come avviene per l’aborto. L’aborto potrebbe potenzialmente essere, certo, sfruttato a fini eugenetici, ma questa eventualità è resa praticamente impossibile dal fatto che la decisione spetta alla donna – se spettasse per esempio al medico, non sarebbe difficile trovare un dottor Mengele nei paraggi.
Ma la cosa appunto grottesca è che una religione nata abolendo la legge, una religione il cui maggior apostolo affermava “tutto è lecito, ma non tutto è utile”, stia diventando, nel campo della vita biologica, un reticolo di norme e divieti, in cui l’aderenza alle verità spirituali è determinata non dalla fede, o dalla carità, o dalla speranza, ma dal rispetto dei tabù – non alimentari come la maggior parte di quelli ebraici, ma biologici.
Eutanasia, clonazione, ingegneria genetica, e mille altre, possono rappresentare un enorme progresso per l’umanità, ma aprono prospettive preoccupanti – molte ricordano le manipolazioni sugli embrioni descritte da Aldous Huxley in Brave New World, altre non sono lontane dall’eugenetica. La Chiesa è giustamente preoccupata di queste possibili inquietanti deviazioni. Credo però che il Vaticano cerchi di fermare una valanga con una mano, in quanto le biotecnologie proseguono al galoppo e soprattutto sono sponsorizzate da stati – come la Gran Bretagna o la Corea – su cui l’influenza dei cattolici è nulla. In altre parole, per quanti divieti possiamo inventarci, si troverà sempre il modo per aggirarli. Per esempio, la Chiesa ha sollevato un putiferio sull’uso di embrioni di pochi giorni – col risultato di stimolare la scoperta di tecniche che permettono di clonare direttamente cellule del midollo osseo, muscolari, ecc. L’unica soluzione al problema sociale esistenziale ed etico delle biotecnologie credo sia quella di conferire la potestà sul "materiale biologico" alle persone da cui derivano, come avviene per l’aborto. L’aborto potrebbe potenzialmente essere, certo, sfruttato a fini eugenetici, ma questa eventualità è resa praticamente impossibile dal fatto che la decisione spetta alla donna – se spettasse per esempio al medico, non sarebbe difficile trovare un dottor Mengele nei paraggi.
Ma la cosa appunto grottesca è che una religione nata abolendo la legge, una religione il cui maggior apostolo affermava “tutto è lecito, ma non tutto è utile”, stia diventando, nel campo della vita biologica, un reticolo di norme e divieti, in cui l’aderenza alle verità spirituali è determinata non dalla fede, o dalla carità, o dalla speranza, ma dal rispetto dei tabù – non alimentari come la maggior parte di quelli ebraici, ma biologici.
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La Cena di Trimalcione
La cena di Trimalcione, l'unico brano completo del Satyricon di Petronio, ridicolizza il liberto arricchitosi favolosamente, ignorante e volgare. E' la satira della decadenza di Roma, e ancora lo leggiamo così. Recentemente l'ho riletto - Petronio è un grandissimo scrittore - e mi ha colpito un passo che non ricordavo, in cui Trimalcione racconta la sua storia. Ha iniziato facendosi prestare i soldi dalla moglie e li ha investiti nel commercio, all'inizio ha avuto dei rovesci che hanno rischiato di rovinarlo, ma poi le speculazioni hanno cominciato ad andare sempre meglio, espandendo enormemente la sua ricchezza. A questo punto, dice, preferì non tentare oltre la fortuna e si ritirò dai commerci vivendo della rendita dei suoi terreni. Sembra una frase insignificante, ma significa che Trimalcione, un emprunteur, quindi un capitalista a tutti gli effetti, si era ritirato dall'impresa per diventare un latifondista, un rentier. In altre parole, i molti Trimalcioni di Roma stavano per far nascere il capitalismo già nel II secolo d.C., e si sono fermati probabilmente proprio perché si vergognavano delle loro speculazioni - proprio quello che gli imputa Petronio. Abbiamo dovuto aspettare 1500 anni per arrivare alla Rivoluzione Industriale. E in mezzo abbiamo dovuto avere il Medioevo.
Chissà chi è, oggi, il Trimalcione che prendiamo in giro, e quale nuova fase di sviluppo dell'umanità bloccherà il suo ritirarsi dalla scena.
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