Giovanni Semeraro, come è noto, ritiene che non sia esistito un “protoindoeuropeo” all’origine delle lingue indoeuropee, ma che queste derivino dalle lingue semitiche, come dimostrato dalle numerose radici greche e latine (e di lingue germaniche) che si ritrovano nell’accadico. Bellissimo e illuminante studio, però quando intitola un capitolo di un suo libro “il miraggio dell’indoeuropeo” confonde la critica a tre cose diverse
1) la famiglia linguistica indoeuropea raggruppa un gran numero di lingue europee, persiane e dell’India del nord, come l’hittita, il tedesco, il sanscrito, il greco, il latino ecc. Che questa famiglia sia ben delimitata e distinta da quella semitica, che comprende lingue come l’arabo e l’ebraico mi sembra incontrovertibile; come incontrovertibile mi sembra che abbia un’origine comune: del resto, l’albero filogenetico delle lingue coincide quasi esattamente con l’albero filogenetico umano ricostruito sulla base del DNA.
2) Parallelamente al riconoscimento della famiglia linguistica indoeuropea, in Germania ci si accorgeva, all’inizio dell’ottocento, che certi fonemi diventano altri quando una lingua si evolve; per esempio, b diventa p, d diventa t eccetera (si può osservare anche confrontando il toscano con i dialetti meridionali); queste variazioni sono così costanti da configurare delle vere e proprie leggi fonetiche; ora, utilizzando a rovescio queste leggi, si può ricostruire la lingua originaria protogermanica e protoindoeuropea. La critica della validità di questo approccio è il vero oggetto della critica di Semeraro: queste ricostruzioni 1) spesso portano a delle voci che sembrano abbastanza campate in aria 2) se si confrontano le parole indoeuropee con quelle accadiche i risultati sono più convincenti e diretti. Curiosamente, la disputa è simile a quella del famoso linguista americano Joseph Greenberg, che ha proposto uno schema di classificazione delle lingue del Nuovo Mondo basata sulla comparazione diretta e assai più semplice di quella tradizionale dei linguisti americani che era basata fondamentalmente sul metodo delle leggi fonetiche; Greenberg, però, mi sembra molto più rigoroso di Semeraro.
3) La linguistica tedesca si proponeva in fondo di dimostrare la “purezza” delle lingue germaniche – un tema sviluppato ben prima del nazismo ma che nella storia delle idee è purtroppo collegato – però Semeraro si ripropone di dimostrare la superiorità delle civiltà mediterranee, che era un tema caro al fascismo – e infatti recupera un gran numero di studi italiani degli anni trenta. Purtroppo, nessuno è superiore a nessuno; se però si lascia da parte l’ideologia, sia la scuola tedesca che la scuola glottologia italiana danno interessanti contributi. Curiosamente, la scuola linguistica tedesca ha dato il suo più grande contributo quando ha smesso di tentare di spiegare l’evoluzione e l’origine delle lingue, e si è rivolta, con De Saussure (uno svizzero, quindi a metà tra Francia e Germania), allo sviluppo di una teoria generale della lingua, originando lo strutturalismo.
Infine due critiche secondarie: metodologicamente (ardisco dire anche se non sono né un filologo né un linguista) mi sembra piuttosto approssimativo, e, pur coltissimo, piuttosto provinciale, come quasi tutti gli uomini di cultura italiana. Però è un libro assai illuminante, nello specifico, con la ricostruzione di moltissime radici, nello storico, perché rimette in luce una “civitlà mediterranea” non greca, di cui parla anche Sergio Frau – per altro un giornalista - nel suo libro sulle colonne d’ercole.