martedì 19 gennaio 2010
Gleichgewicht
Berlusconi hat vielleichte seine Genialität; generell verkauft man sich an einem einzelnem Kaufer, der Premier hat sich verkauft an allen - Mafia, Freimauerei, Geheimdienst, Faschisten - so dass alle diese Kräfte in Gleichgewicht sich einander halten und er kann seine Freiheit - und Interesse - vefolgen. Diese Denke hatte ich wenn ich die schöne Gechichte der Berlusconis Abenteuer von Travaglio in Theater gehört habe.
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sabato 16 gennaio 2010
Machiavellismo
Gli italiani, specialmente politici, si ritengono assai machiavellici. In verità, poco ha a che fare il machiavellismo con Machiavelli. Per essere machiavellici veramente bisogna avere le virtù della volpe e del lione, il che corrisponde moltoall'evangelico "siate astuti come serpenti e candidi come colombe" e poco con "il fine che giustifica i mezzi" - principio nato in seno alla chiesa, che per secoli l'ha praticato.
giovedì 14 gennaio 2010
Processo a Galileo
Usualmente, il processo a Galileo viene visto come uno scontro tra ragione e oscurantismo. Ma Galileo ha tentato in realtà di dimostrare che le verità scientifiche non sono in contrasto con la fede, e, dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius, era anche riuscito a convincere il capo degli astronomi vaticani, Christophorus Clavius, della bontà della teoria copernicana. Galileo commise anche l’errore di essere, nel Dialogo sui Massimi Sistemi, troppo provocatorio rispetto a quanto potessero tollerare i cortigiani del Papa. Del resto, il conservatorismo culturale è frequente anche tra gli scienziati, in cui atteggiamenti cortigiani non sono rarissimi. La sfortuna di Galileo è stata soprattutto quella di vivere nell’epoca dell’assolutismo, che non era solo della chiesa, spaventata e in piena Controriforma, ma di tutti gli stati dell’epoca (con l’eccezione di Olanda e Svizzera), e non nel Rinascimento dei papi umanisti.
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Razzismo
E’ del tutto vero che i leghisti non sono razzisi: assolutamente non cacciare gli immigrati, ma avere gli schiavi, questo è ciò che vogliono – come hanno chiarito i fatti di Rosarno. I romani non avevano un filo di razzismo, però avevano gli schiavi e anzi Seneca dice di trattarli bene, perché sennò si ribellano – quasi profetizzando la tanto sottolineata integrazione in Veneto.
mercoledì 6 gennaio 2010
Macroregioni
In Italia le entità con potestà amministrativa sono fondamentalmente il comune e la regione - le province infatti si vuole abolirle. Ciò ha origini storiche, in quanto le regioni corrispondono grosso modo ai piccoli stati italiani (anche se Venezia e Regno delle Due Sicilie risultano spezzettati) e i comuni corrispondono alla tradizione comunale. Tuttavia, sarebbe molto più logico che il sistema si basasse su entità più grandi, cioè le macroregioni e le province. Per quanto riguarda le prime, solo le macroregioni - NW, NE, C, S e isole - hanno la massa crititca che ha per esempio un Land tedesco -e infatti nel sistema statistico dell'EU macroregioni e Land corrispondo al level 1 mentre le regioni e il Regierungsbezirk al level 2 - per quanto riguarda le seconde, se in città quasi non ce ne accorgiamo, in provincia (appunto) sono l'entità di riferimento per quasi tutti gli obblighi amminsitrativi.
Un compromesso potrebbe essere lasciare la potestà legislativa alle regioni ma dare autonomia fiscale alle macroregioni - il che potrebbe bilanciare la finanza allegra che spesso avviene a livello regionale.
Un altro aspetto interessante - anche se per ora fantascientifico - sarebbe di istituire una camera delle macroregioni. Le quattro macroregioni - NE, NW, centro (compresa Emilia Romagna, Abruzzo e Molise), sud e isole - hanno popolazione all'incirca equivalente di circa 18 milioni di abitanti, tranne il NE che ha solo 6 milioni di abitanti. Si potrebbe pensare che ciascuna elegga 26 rappresentanti, tranne il NE che ne eleggerebbe 13 - con proporzionale secco, in realtà con un'alta soglia di sbarramento a causa del basso numero di deputati (91 in tutto) e quindi del quorum elevato. Questo sistema avrebbe alcune conseguenze:
1) le macroregioni sono unità culturalmente omogenee (tranne il NW, e la Sardegna che fa parte a sé)
2) si avrebbe una sintesi tra istanze locali e nazionali
3) il Pd sarebbe probabilmente ridimensionato, mentre sarebbero favorite la lega e probabilmente la componente ex MSI del Pdl, con forte radicamento locale; se l'Udeur sarebbe molto favorito, probabilmente UDC e componente ex socialista di Pdl, senza un gran radicamento locale, sarebbero forse sfavoriti
4) le forze più estreme sarebbero contemporaneamente svantaggiate - dall'alto quorum - e avvantaggiate - dal collegio ampio
Una tale camera sarebbe bene fosse bilanciata da una seconda camera - mi viene in mente una camera di circa 100 eletti con l'uninominale su collegi corrispondenti alle province.
In Italia oggi si scontrano posizioni localiste e centraliste. Ma occorrerebbe arrivare a una sintesi: i vantaggi dello stato unitario sono innegabili soprattutto nella garanzia dei diritti, ma non si può trascurare l'importanza della nostra tradizione soprattutto comunal (e non regionale: la Repubblica di Venezia era il contado di una città). L'intuizione dell'Italia dei sindaci di qualche anno fa - oggi spazzata via - era assai feconda.
Ovviamente questa su cui qui elucubro è fantascienza istituzionale. E' come la proposta, più volte avanzata dagli specialisti, di elezioni con collegio uninominale in cui si esprimono però tre candidati in ordine di preferenza ; sarebbe il sistema perfetto, però non si realizzerà mai, per motivi soprattutto psicologici, perché con questo sistema non sembra di votare per un candidato ma di fare un sondaggio. Tenendo conto tuttavia che gli elettori spesso non sanno che - grazie ai giochi di ingegneria istituzionale - i loro voti non hanno lo stesso peso a seconda di chi votano - e che nessuno sembra volerli informare di ciò - forse sarebbe bene cominciare a pensare a qualcosa del genere.
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Mobilità
In Italia si assiste, nel dibattito pubblico, a una curiosa schizofrenia. Da una parte - specialmente contro gli scioperi nei trasporti e i cortei in città - si invoca il diritto alla mobilità, che non esiste - e non si vede come potrebbe esistere, si tratterebbe di qualcosa di simile a un diritto al brodino di pollo - mentre la Lega - chiedendo che gli insegnanti del nord siano tutti del nord ecc. - attacca continuamente il diritto alla libera circolazione, che è tutt'altro - significa che nessuno può essere impedito dal risiedere in un posto o nell'altro della Repubblica. Magia della semantica delle parole.
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Casini
Qualcuno dovrebbe ricordare all'On. Casini - che odia i no-global - che a Genova c'erano caterve di cattolici, con il tacito consenso di Wojtila, e che hanno preso un sacco di manganellate - e anzi le manganellate e le tortura sono arrivate proprio perché la Chiesa aveva deciso di appoggiare i no-globale - una sorta di schiaffo di Anagni del 2000
martedì 5 gennaio 2010
Superclass
Exceptionnellement, je présent un article de Giorgio Ruffolo (L'Espresso 28 settembre 2008) qui décrit bien la situation économique et politique actuelle.
Fino a qualche tempo fa l'attenzione degli economisti era attratta dalla estensione della povertà. Da qualche tempo, l'interesse si è spostato invece sui ricchi. Anzi, sui ricchissimi. Non è voyeurismo. Si tratta di sapere in che tipo di società viviamo e come si esce dalla situazione attuale della crisi del capitalismo. Il posto occupato dai ricchissimi non ha molto a che fare con tutto ciò. Uno dei lavori più recensiti, in America, è quello di David Rothkopf, personaggio eminente sia nel campo degli studi sociali, sia, soprattutto, negli ambienti politici, È stato vicino a Clinton e a Rockefeller. Il suo ultimo libro, "Superclass" (Mondadori), continua a fare rumore, anche perché è con super ricchi (dice che sono seimila circa), i protagonisti del suo testo, che chi oggi pensa di rifondare il capitalismo, dovrà fare i conti. Rothkopf li incontra a Davos, dove si aggirano le ombre della montagna incantata di Thomas Mann: il fascino della signora Chauchat, la pudica malinconia di Hans Castorp. Ce li presenta in uno di quei mondanissimi convegni annuali che sembrano (sembravano) dare indirizzo e razionalità alla globalizzazione. (...). C'è una una sola fede: incrollabile, come quella dei templari, o dei massoni, la fede nel supercapitalismo, liberato da ogni vincolo nazionale e da ogni preoccupazione sociale. Ciò che distingue il nostro tempo infatti non è resistenza di élites nazionali, ma la presenza di una élite sciolta da legami di terra e di sangue, librata in una "candida rosa" al di sopra dei governi, degli Stati, delle nazioni. Una élite vera, nel senso della capacità di governo? E lecito nutrire qualche dubbio, dal momento che fino a poco fa molti di loro, alla testa di banche, erano ignari della spazzatura che si era accumulata nei loro forzieri. Viene il dubbio che non si tratti di una élite e di un governo mondiale ma di un ceto di mandarini privilegiati e irresponsabili: una "schiuma". I loro stipendi eguagliano i redditi di intere nazioni. Non si dovrebbero neppure chiamare stipendi perché non appartengono alla categoria del lavoro e neppure a quella del capitale, ma della rendita (di posizione). Un giorno si dovrà fare il bilancio di quanto è costato alla comunità mondiale questo capitalismo finanziario che ha generato questa plutocrazia irresponsabile. Si dovrà fare il confronto tra il capitalismo regolato degli anni Cinquanta e Sessanta, gli anni del compromesso socialdemocratico, l'età dell'oro, quando una forte crescita si accompagnava con la riduzione delle disuguaglianze; e il capitalismo finanziario generato tra la fine degli anni Settanta e rinizio degli Ottanta dalla decisione strategica del duo Thatcher-Reagan, di liberalizzare i movimenti di capitale. Sono queste le decisioni di governo, non le conferenze di Davos, che hanno segnato la mercatizzazione mondiale dello spazio (globalizzazione) e del tempo (finanziarizzazione). Il fallimento del mercato non si rivela infatti nelle Borse che vanno a picco ma nell'incapacità di generare una economia sostenibile ambientalmente ed equa socialmente. Ma è un fallimento che mette a rischio anche la democrazia. E forse è questa la vera sfida del prossimo futuro. Stiamo parlando dell'aumento della potenza delle corporation rispetto agli Stati nazionali. Nel 2007 il prodotto lordo mondiale era stimato in 47 trilioni di dollari. Le vendite delle prime 250 imprese multinazionali ammontavano a 15 trilioni. Di quelle 250 macroimprese le prime cinque contavano più del prodotto totale di duecento Stati del mondo. Prendiamo gli Stati con più di 50 miliardi di dollari di prodotto nazionale lordo e le imprese con più di 50 miliardi di dollari di vendite. I primi sono 60, le altre 166. Come indici approssimativi del loro potere mondiale le cifre parlano chiaro. La potenza del mondo si concentra in pochi soggetti privati, politicamente irresponsabili; ma decisivi quanto alla selezione dei candidati alle elezioni dei paesi democraticatici. Qui si innesta l'aspetto decisivo dello slittamento dai potere dagli Stati alle corporation: non solo l'enorme flusso di denaro che da queste si riversa sulla classe politica nelle forme del finanziamento illegale, ma sempre più in quelle ormai aperte dei giganteschi contributi elettorali. Quello che era una volta il mercato furtivo delle tangenti è diventato l'acquisto all'ingrosso dei candidati e dei partiti in occasione delle contribuzioni alle elezioni presidenziali e parlamentari, perfettamente legali. All'afflusso del denaro si aggiunge la pressione lobbistica. Dal 1975 al 2005 il numero dei lobbisti registrato a Washington è passato da 3.400 a 33.000. Nel 2005 gli uffici della Commissione europea di Bruxelles ospitavano diecimila lobbisti. E le pressioni non hanno bisogno di essere esercitate illegalmente, perché ogni atto politico, anche il più banale, come un appuntamento, ha un prezzo di mercato. (...). La pubblicità è il più formidabile strumento in mano alle grandi corporation per sostenere il loro potere. È uno strumento sostanzialmente politico, in quanto comanda l'allocazione delle risorse attraverso l'asimmetria dell'informazione. L'ammontare mondiale delle spese pubblicitarie è stimato in oltre 500 miliardi di dollari, circa l’1,3 % del prodotto lordo mondiale, e più di sette volte la spesa destinata alla ricerca sanitaria (70 miliardi di dollari). Maggiore del budget militare degli Stati Uniti (425 miliardi di dollari). (...) Ma che cosa resta della democrazia, se i poteri irresponsabili delle multinazionali surclassano gli Stati nel controllo delle risorse; se sono in grado di controllare le fonti delle decisioni politiche attraverso il lobbismo sistematico; se sono in grado di orientare i flussi della domanda verso la loro offerta di beni (e di mali) privati, deprimendo l'offerta di beni sociali? Lo spazio delle decisioni basate sulla partecipazione e sul consenso dei cittadini si restringe implacabilmente, mentre si amplia quello basato sulle decisioni di consumo largamente influenzate dalle scelte di investimento delle grandi corporation. A Davos, in quella montagna disincantata, non c'è più traccia dellajpudica malinconia di Hans Castorp e del sorriso affascinante della signora Chauchat. C'è solo il vocìo profano dei ricchissimi che si complimentano rassicurandosi reciprocamente. Fino a che qualcuno non oserà a sfidarli.
domenica 3 gennaio 2010
Merito
I meritocrati, quando parlano di merito, intendono non la bravura, le capacità, la compentenza, ma bensì l'obbedienza. Secondo questo criterio, Leonardo - che non era obbediente per niente - non avrebbe avuto merio - e ci sono esempi analoghi recenti. Del resto, un capo capace non ha bisogno della coercizione se non in casi eccezionali, in quanto i subalterni lo rispettano e capiscono l'importanza della sua direzione; i capi mediocri hanno bisogno di obbedienza.
sabato 2 gennaio 2010
Ottimismo
Ottimista è colui che, pur quando le cose non vanno bene, dice "nonostante tutto ce la possiamo fare". Chi, quando ci sono dei problemi, afferma che tutto va bene, che non c'è nulla di cui preoccuparsi, non è un ottimista, è uno struzzo.
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