lunedì 24 agosto 2009

tempo


Consiglio a tutti il libro di Elena Esposito “il futuro dei futures”. Era tantissimo che non leggevo qualcunio che dicesse qualcosa di nuovo. La riflessione dell’autrice (che sa iltedesco, e la cosa non è irrilevante) parte da futures e derivati. Va di moda dire che si trattava di un’economia irreale e che bisogna tornare all’economia reale. Però milioni di persone sono rimaste senza una casa e ora vivono in tende e roulottes: tanto irreale, quell’economia, non doveva essere. Esposito ha capito una cosa che era addirittura ovvia: che il denaro è tempo. In particolare, un imprenditore non è, come pensava Marx, uno che impianta una fabbrica, ma uno che prende soldi in prestito, cioè prende la ricchezza che non ha dal futuro, e la trasferisce nel presente dove quella ricchezza ancora non c’è, esattamente come il mercante veneziano prendeva le spezie da lontano e le portava in Europa dove non c’erano. Dato che nulla si crea e nulla si distrugge, tuttavia, quello che è stato preso dal futuro deve essere ripagato con la produzione attuale – quando questo non avviene si hanno le crisi, e questa seconda parte Marx l’ha spiegata meglio di chiunque altro.
Del resto, a parte l’espressione “il tempo è denaro”, a parte che nella teeoria marxiana non è il lavoro, ma il tempo di lavoro che basa il valore, i soldi non sono altro che dei pagherò: i soldi in senso moderno – cioè non come semplice numerario, per usare il termine marxiano – sono stati inventati dai banchieri toscani, che emettevano dei pagherò: tu ora mi dai 10 tese di stoffa, in futuro ti pagherò l’equivalente in oro. Da quel momento, ci siamo messi a commerciare il nostro tempo, e come giustamente sottolineato da Esposito, il tempo è diventata la nostra ossessione e la nostra prigione. Dato che ogni euro che percepiamo è sostanzialmente un debito, abbiamo paura di non riuscire a ripagare tutto prima di morire, col risultato che abbiamo un terrore della morte sconsociuto ad altre epoche, terrore che è il tema di un buon numero di artisti contemporanei (primo fra tutto, Damien Hirst).
Fin qui, Esposito non ha scoperto nulla di nuovo – anche se spesso non c’è nulla di più nuovo, soprendente e sconosciuto delle cose che si sanno già – dove la sua analisi diventa interessante è nel tentativo di capire la natura del tempo. Si tratta di un problema su cui si sono arrovellati filosofi e scienziati per millenni, senza riuscire a dare una definizione minimamente convincente. Esposito prende sul serio i derivati – che sono sostanzialmente assicurazioni contro i rischi – e individua la natura del tempo nella sua incertezza. E’ una visione lontanissima da quella della scienza: per la scienza il tempo è una dimensione paragonabile a quella dello spazio. Kurt Vonnegut immagina una persona che riesca ad andare avanti e indietro nel tempo come riusciamo a fare nello spazio: questa persona può vedere il momento della sua morte. Un universo così è però sostanzialmente statico: posso andare avanti e indietro, ma è un mondo del tutto fermo. Il tempo della scienza è untempo assolutamente reversibile, e il mondo della scienza è come un poliedro, che posso ruotare e spostare, ma che rimane sempre lo stesso – non diversamente dall’universo per la religione, che già esisteva csì come si dipana nella storia nella mente divina. Del resto, un mondo statico è probabilmente l’unico che può essere trattato analiticamente. Del resto, come giustamente sottolinea esposito, la teoria economica tratta un’economia sostanzialmente statica, proprio per renderne possibile la trattazione matematica.Un tempo incerto è invece un tempo aperto alla possibilità. E ci sono due branche della fisica che hanno incorporato l’incertezza (probabilità): la termodinamica e la meccanica quantistica. La seconda legge della termodinamica spiega perché gli eventi vanno in una sola direzione: la cosiddetta “freccia del tempo”; la meccanica quantistica ha portato molti a immaginare un universo che si scompone continuamente in infiniti mondi possibili.
Incidentalmente, il fatto che il tempo incerto è il tempo della possibilità, si può tradurre in termini teologici col fatto che dio cambia, cioè crea anche sé stesso – l’ebraismo era arrivato a qualcosa del genere, e gli scolastici avevano intravvisto il problema con il famoso quesito se dio potesse creare una pietra tanto grande da non poterla sollevare nemmeno lui – quesito che ha senso solo con un dio statico.
Insomma, una visione probabilistica del tempo porta a vedere in un modo completamente diverso il concetto di necessità; i mistici (vedi Dante) hanno sempre identificato libertà e necessità - usando i termini di Monod non esiste differenza tra caso e necessità – facendo sempre attenzione di non scambiare la necessità con la prepotenza e la cattiveria degli uomini. Ma le intuizioni dei mistici non si mangiano: forse invece questo strumento dei derivati, che così male abbiamo usato – puramente per avidità, potrebbe aprire una finestra dalle enormi conseguenze.

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